• carte all'aria!

carte all'aria!01/06/2007



La “Casa Rossa” di Alfredo Panzini è oggi, grazie alla ricchezza dell’archivio dello scrittore, non solo un luogo restaurato e finalmente praticabile, ma anche uno scrigno prezioso che rivela molti tesori e ancora di più ne riserva per il futuro. Dunque abbiamo, finalmente, un bellissimo contenitore ritornato alla sua condizione di origine e abbiamo quasi tutto ciò che in questo contenitore venne pensato, immaginato, scritto, vissuto. Lo stato delle carte è infatti improvvisamente raddoppiato rispetto a quanto si trovava depositato presso l’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, ora passato alla Biblioteca comunale di Bellaria. E questo grazie alla donazione di Giulio Torroni, che generosamente ha proposto al Comune di integrare con quanto di suo possesso il fondo archivistico. Così le due metà delle carte Panzini (una quarantina di faldoni zeppi di documenti) possono riunirsi. E qui, nel lavoro futuro, si dovrà scavare per ricostruire la fisionomia culturale dello scrittore, liberandolo da finte immagini e stereotipi, da preconcetti e da giudizi ormai stantii sulla sua scrittura. In questi faldoni ora si trovano sommariamente ordinati (e faccio solo qualche esempio): i manoscritti, elaboratissimi, di opere fondamentali, come Io cerco moglie, o Il padrone sono me!, o il Diario di guerra, o i Giorni del sole e del grano; quasi tutte le schedine con le quali Panzini compose e poi arricchì nel tempo il Dizionario Moderno; le lettere dei corrispondenti di Panzini, da Renato Serra a Sibilla Aleramo, da Giovanni Cena a Giovanni Papini, da Marta Abba a Matilde Serao; i documenti privati della vita dello scrittore, come l’epistolario rivolto alla moglie durante il fidanzamento; le fotografie e gli atti giuridici della famiglia.
Ma questi elenchi non dicono in realtà niente della bellezza e del fascino che ancora oggi derivano dalle carte dello scrittore. Quelle carte che abbiamo deciso di cominciare a mettere “all’aria”, come dice il titolo di questa prima esposizione, proprio per tirarle fuori dai contenitori dove sono chiuse da decenni e riportarle alla luce, esattamente come se fossero i reperti di un lungo e faticoso scavo. Per poterle apprezzare, per seguire la penna di Panzini all’opera, il complicato incastro di fogli incollati e riscritti, di cancellature e riprese, di correzioni che caratterizzano il laboratorio di uno scrittore prima dell’avvento del computer o addirittura della macchina da scrivere, abbiamo deciso di mettere sotto agli occhi di tutti, un po’ alla volta, secondo percorsi coerenti, gruppi tematici di carte e documenti, facendo delle stanze, non ampie, della Casa Rossa il luogo dove queste carte possono riprendere a respirare all’aria del mare, in contrappunto con le foglie degli alberi del parco. Questi manoscritti elaboratissimi, fatti di strisce incollate, dove la penna si alterna ai colori blu e rosso della matita,
sembrano vere opere visive, collage intarsiati, fogli che hanno già avuto la loro vita ma che ora la possono ritrovare.
All’entrata della Casa, quattro grandi vele ideate da Claudio Ballestracci ci mettono subito in contatto con il volto di Panzini e con alcuni esempi della sua scrittura, alcune strisce manoscritte ricavate dal Padrone sono me. Queste vele leggerissime, trasparenti l’una sull’altra, vogliono dare l’idea di uno spazio nuovo dove però si respira aria antica. Era inutile, e quasi impossibile, ricostruire l’autentico arredamento della Casa. Pochi i mobili rimasti, e spesso malmessi o irrecuperabili. Così si è deciso di salvarne alcuni, i più significativi (la scrivania, il letto, un armadio) e di farne altrettanti contenitori o espositori da utilizzare nel percorso. Ballestracci ha disegnato poi alcune eleganti lanternine dove depositare i pochi oggetti indicativi della pratica dello scrivere: un paio di occhiali, una penna, una foto, ecc. Così ci è sembrato di recuperare quello che di Panzini si può realmente rimettere in discussione, senza falsi restauri o pretese di assoluta originalità.

Al piano superiore, l’allestimento dello studio prevede l’esposizione di dodici campioni selezionati dal ricco carteggio dello scrittore. Si tratta di nomi importanti nella cultura letteraria del primo novecento:
Sibilla Aleramo, Antonio Baldini, Emilio Cecchi, Giosue Carducci, Flippo De Pisis, Giovanni Pascoli, Marino Moretti, Ada Negri, Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Matilde Serao, Renato Serra. Per ognuno, un leggio mostra una lettera e, quando possibile, la fotografia inviata dal corrispondente a Panzini.

A parte la cartolina col volto del maestro bolognese, Giosue Carducci, primeggia su tutti il volto di Renato Serra, il ritratto inviato dallo scrittore di Cesena al “professore” di Bellaria perché così, anche se a distanza, mantenesse vivo il ricordo di lui: “Non è un bel volto, caro professore, perché non è mai stato bello”, gli scrive da S. Vito al Tagliamento il 4 maggio 1915. Si tratta di un omaggio malinconico, soprattutto se si pensa che Serra era al fronte, e che di lì a poco sarebbe morto, lasciando un vuoto nel mondo culturale italiano. Ed è proprio a proposito della morte di Serra che Sibilla Aleramo scrive a Panzini, in data 25 luglio 1915, considerandolo l’interlocutore adatto per rimpiangere un incontro mai avvenuto tra lei e l’intellettuale di Cesena: “Amico mio, mi ha particolarmente colpita iersera la notizia della morte di Serra. Non lo conoscevo, ma gli volevo bene attraverso specialmente quel che lei me ne diceva…”.
Vanno poi sottolineati, nelle lettere e cartoline che abbiamo scelte, il giudizio di Baldini, sulla carta intestata della rivista “Nuova Antologia” (“Ho letto con straordinario diletto e commozione il Bacio di Lesbia”, 23 ottobre 1936), o quello di Papini (2 giugno 1914), sulla carta intestata della “Voce” (“A me pare di conoscerla da gran tempo…eppoi sono stato uno dei primi lettori della sua Evoluzione del Carducci”), e la cartolina di Emilio Cecchi (17 giugno 1913), che dice di invidiare l’amico che ha potuto conoscere e frequentare il Carducci: sono tutte voci che giungono a noi per testimoniare come la scrittura di Panzini attraversi esperienze di intellettuali profondamente diversi tra loro, ottenendo sempre attenzione e suscitando dibattiti.
Oppure si può notare il dialogo con altri artisti che frequentano assiduamente la costa balneare romagnola, come Filippo De Pisis (lettera del 21 ottobre 1920), o vi abitano, come Marino Moretti (lettera del 23 dicembre 1915). Attraverso questi scambi, questi incontri molto più fitti allora di oggi, e considerando la mappa di tutti i centri della poesia e della cultura in Romagna - San Mauro di Pascoli, Cesena di Serra, Cesenatico di Moretti, il Cardello di Alfredo Oriani, la Sisa di Antonio Beltramelli -, rinasce il profilo di una “repubblica romagnola delle lettere” che ha realmente segnato i primi decenni della cultura italiana, proponendo un’alternativa provinciale ma salda a luoghi più famosi della cultura come Firenze e Roma. Intorno a Panzini, in quegli anni, si intrecciava un dialogo fittissimo che riguardava non solo la letteratura ma la vera e propria vita civile italiana, il cambiamento di una società e di una cultura nazionale. E Panzini, attraverso romanzi che sembrano spesso indagini sulla psicologia, le abitudini e i costumi dei suoi contemporanei borghesi, mostra di essere un osservatore attentissimo e impietoso, capace di cogliere ogni mutamento, ogni piccolo comportamento, ogni abitudine nuova.
Anche per questo, nei progetti che seguiranno, cercheremo di riportare alla luce altre carte, di far tornare vivi materiali che giacciono chiusi da troppo tempo, e disegneremo altri percorsi nell’opera dello scrittore, escogitando di volta in volta il modo migliore per rendere vivi questi straordinari foglietti ricoperti di scrittura, ritagliati, incollati e intarsiati, la testimonianza di un laboratorio che non ha niente da invidiare a quanto si trova nelle altre case degli scrittori di questa epoca. La Casa Rossa deve tornare a essere una casa della memoria, della letteratura, del dialogo intellettuale.

Marco A. Bazzocchi